DI LAVORO SI MUORE

Sono sparse un po’ ovunque le fabbriche che uccidono in tempi e modi diversi e nel 2006 hanno portato il paese al drammatico tetto delle 1302 vittime.
Senza contare gli oltre 26 mila casi di malattia professionali denunciate all’Inail, che non hanno interrotto la vita dei lavoratori, ma sicuramente gliela hanno rovinata. E poi c’è la morte che non nasce da un trauma, ma è altrettanto feroce e colpisce negli anni: quelle delle vittime dei veleni.


L’AMIANTO

AMIANTO: PARADIGMA DELLA FEROCIA LIBERISTA

Per decenni, la produzione e la lavorazione dell’amianto hanno generato un flusso ininterrotto di profitti. La libertà di commercio e il profitto hanno avuto la meglio rispetto al diritto alla vita e alla salute delle persone e rispetto alla salvaguardia dell’ambiente per le future generazioni.
L’industria dell’amianto ha goduto di una copertura istituzionale generalizzata che le ha permesso di manipolare le informazioni. Gli industriali hanno finto di ignorare che nel 1960 l’Organizzazione Mondiale della Sanità avesse inserito il minerale fra i materiali cancerogeni finanziando ricerche scientifiche per provare che la sua pericolosità era correlata a livelli molto alti di esposizione.
Tutto questo spiega perchè l’iter legislativo della legge 257/92 non sia stato semplice e rapido. In particolare l’Associazione Utilizzatori Amianto che riuniva 25 aziende del settore fu molto attiva perché il Parlamento garantisse i suoi interessi promuovendo un “uso controllato” dell’amianto o di un suo abbandono i tempi lunghi.

OMICIDIO COLPOSO

La consistenza fibrosa dell’amianto è causa di gravi patologie a carico prevalentemente dell’apparato respiratorio. Absestosi, sacche pleuriche, tumori polmonari e mesotelioma, una neoplasia maligna rara ed estremamente invasiva che colpisce pleura, peritoneo o pericardio. La sua insorgenza non è correlata alla dose di esposizione all’amianto e ha un lungo periodo di latenza (10-40 anni).
In Italia, i suoi effetti patologici sono stati osservati per la prima volta nel 1908. Successivamente, nel 1935, viene prospettata la sua associazione con il carcinoma polmonare e nel 1960 è correlato con il mesotelioma.
Il suo uso è stato vietato con la legge 257 del 1992. Purtroppo bisogna lamentare un notevole ritardo nella sua attuazione in vari campi. Ad esempio il Registro Nazionale Mesoteliomi ha iniziato il suo lavoro solo nel 2004, i Centri Operativi Regionali non sono ancora attivi in tutto il territorio e nulla è stato fatto rispetto alla registrazione delle altre malattie correlate all’asbesto.
Impossibile fare un calcolo preciso del problema. L’associazione Italiana degli Esposti all’Amianto stima che complessivamente in Italia gli esposti siano oltre 1.000.000.


MELFI

UNA REPUBBLICA FONDATA SUL LAVORO

Il lavoro non è più un valore, ma un costo da tagliare. I lavoratori, la loro professionalità, le loro competenze sono risorse da sacrificare sull’altare del profitto. La flessibilità e la precarietà, permea la vita delle persone, determinando un peggioramento nelle condizioni di vita e una diminuzione del salario.

MELFI. UN PRATO COLOR AMARANTO

E’ il 21 ottobre ’89, quando Cesare Romiti decide di dare alla Fiat quella che viene definita la svolta della qualità totale. Ma per fare questo occorre “un prato verde”, un luogo senza memoria operaia, con lavoratori giovanissimi, pienamente disponibili e completamente coinvolti nell’ottica aziendale. Il luogo viene presto individuato, Melfi al confine tra Puglia e Lucania.
E per i soIdi? Aiutino… 1.370 miliardi di lire vengono presi dai fondi speciali stanziati dallo Stato italiano per lo sviluppo del Sud.
Nel settembre ’93 il nuovo stabilimento di San Nicola di Melfi inizia a produrre le prime Punto. Circa 1500 vetture al giorno con tempi produttivi inferiori del 20% rispetto agli altri stabilimenti Fiat. E la differenza si nota subito, a colpo d’occhio. Mentre i metalmeccanici di tutta Italia indossano tute blu, i 7 mila addetti di Melfi indossano tute amaranto. I loro contratti prevedono il recupero delle fermate tecniche dovute alle disfunzioni del ciclo produttivo con l’accelerazione della linea, uno schema di turnazione “a doppia battuta” con 12 giorni consecutivi di turni notturni e uno stipendio decurtato del 20% rispetto a quello dei loro colleghi.
Per dieci anni produttività e profitti dello stabilimento sono particolarmente alti, molto vicini a quelli realizzati dalle industrie automobilistiche nei paesi asiatici. La Fiat non vuole sentir parlare di scioperi. Gli operai parlano di sovraccarichi di compiti, dell’indifferenza dei capi rispetto ai rischi di nocività e infortunio, di ricatti e ingiustizie, di controllo sociale attuato attraverso piccoli favoritismi che stimolano la competizione tra gli operai. Altissima la mortalità sul posto di lavoro e lungo la strada per arrivarci. Molti i lavoratori che non reggono, 1873 operai si dimettono, altri, senza alternativa, si rivolgono ai centri di salute mentale dei comuni limitrofi.
Pian piano, nel “prato verde” si fa avanti una coscienza sempre più strutturata, ma le richieste di ritmi, orari e salari normali non sono prese in considerazione.
E’ il 18 aprile 2004. Gli operai entrano in sciopero, presidiano i cancelli dell’azienda e chiedono l’apertura di un negoziato.
Il 26 aprile i lavoratori seduti davanti ai cancelli vengono aggrediti dalle forze dell’ordine.
La Fiom proclama uno sciopero generale per il 28 aprile e sollecita la solidarietà di tutte le forze democratiche, della società civile e dell’opinione pubblica. Delegazioni di operai arrivano a Melfi per sostenere la lotta.
Finalmente arriva l’impegno formale della direzione aziendale ad iniziare la trattativa.
Dopo 21 giorni di lotta si raggiunge un accordo che sarà approvato dall’assemblea dei lavoratori. Si ottiene: la cancellazione della doppia battuta, un aumento salariale e l’istituzione di una commissione di indagine sui provvedimenti disciplinari emanati dall’azienda. Successivamente, con un’altra dura vertenza di sette mesi verrà abolito anche il lavoro notturno domenicale.


MARGHERA

LABORATORIO DI GIUSTIZIA

A pochissimi chilometri in linea d’aria da Venezia è ancora in attività a Porto Marghera quello che è stato nella seconda metà del novecento uno dei poli chimici e petroliferi più importanti d’Europa. Qui fin dagli inizi degli anni ’60 gli operai sono stati al contatto quotidianamente e senza nessuna precauzione con il cloruro di vinilemonomero (cvm).
Nel 1998 nell’area del petrolchimico sono censiti 1498 camini da cui vengono immesse annualmente in aria 53000 tonnellate di 120 diverse sostanze nocive, e vengono individuate 120 discariche abusive di rifiuti tossici per complessivi 5 milioni di metri cubi.
Attualmente Marghera è una frontiera di giustizia. La sentenza definitiva conferma la condanna dei vertici Montedison in carica fra gli anni sessanta e settanta per la morte di alcuni operai addetti al cloruro di vinile monomero.
L’Assemblea Permanente contro il pericolo chimico è un’associazione spontanea di cittadini che si riunisce subito dopo il grave incidente avvenuto a pochi metri dal serbatoio di fosgene all’impianto Tdi di Dow Chemical il 28 novembre 2002 per richiedere l’eliminazione delle fonti di inquinamento da sostanze cancerogene e mutagene in grado di comportare effetti sulla salute a medio e a lungo termine e l’avvio di processo di bonifica per recuperare il territorio.
Nel 2006 per la prima volta nella storia del polo la produzione del fosgene viene sospesa in seguito ad un sondaggio promosso dal comune di Venezia in cui i cittadini si esprimono contro la presenza sulle rive della laguna di produzioni nocive ad alto rischio di incidente. La Regione approva il piano per le bonifiche ma non si trovano i fondi per fare i lavori perché chi ha inquinato non paga, le aziende infatti sono state assolte per questa voce nel processo e hanno cambiato nome decine di volte negli ultimi decenni per cui i responsabili sono irrintracciabili. Così si cercano fondi pubblici per risanare le aree e per eseguire i lavori si presentano società costituite da raggruppamenti di grandi industrie chimiche che sono le stesse che hanno inquinato. Il cerchio si chiude: chi ha inquinato guadagna anche sul risanamento del territorio.