Luglio 2005

Era il luglio del 2001. Stavamo in piazza Alimonda, confusi e disperati: alcuni di noi si ritrovavano dopo molto tempo, altri si erano appena conosciuti; ci univa l’amore per Carlo, l’amore che Carlo aveva regalato a ciascuno di noi; non sapevamo ancora che saremmo diventati un Comitato. Alla cancellata della Chiesa del Rimedio continuavano ad arrivare e a sovrapporsi fiori, biglietti, testimonianze di solidarietà, di rabbia, di smarrimento. Un incisore della zona portò una targa con una frase di Gandhi, bellissima.
Alcuni amici cominciarono a pensare ad un segno che ricordasse quanto era avvenuto in quella piazza, un segno tangibile, permanente. Pensarono ad un libro aperto, di marmo, con il nome e la data da una parte e dall’altra, per l’appunto, la targa di rame con la citazione gandhiana. Contattarono un marmista, disegnarono il progetto e presentarono la domanda al Comune, senza ricevere risposta. Dopo alcuni mesi venne detto, ai genitori di Carlo, che quella frase era troppo… violenta. Nel frattempo la destra si era mobilitata, raccogliendo firme contro il “monumento al terrorista” che sarebbe stato “pagato con i soldi presi dalle tasche dei cittadini”. Alle falsità della destra eravamo già abituati, alle bugie di certa stampa su Carlo e sui fatti del G8 ancora no, ancora eravamo capaci di stupirci.
Sono passati quattro anni: la cancellata continuava ad essere una testimonianza viva e multiforme, un luogo di unità, dove trovavano posto le diverse anime del movimento e della sinistra, voci apparentemente molto diverse tra loro: un saggio di quelle voci si trova in “Fragili, resistenti – i messaggi di piazza Alimonda e la nascita di un luogo di identità collettiva” curato dall’Archivio ligure della scrittura popolare dell’Università di Genova, edito da Terre di Mezzo. La cancellata si rinnovava ogni anno a luglio, ad ogni 20 del mese, ad ogni festività o fine settimana, con le visite di tanti e di tante, giovani e no, che venivano ancora ad appendere un biglietto, un nastro, un cappellino, una bandiera.

Nella primavera scorsa il parroco della chiesa, convinto che la proprietà privata è sacra ed inviolabile, ha deciso di far togliere tutto, riverniciare la cancellata e non sopportare più neanche la minima attestazione che ricordi l’assassinio di un ragazzo – in realtà non sopporta neppure le bandiere della pace che di quando in quando vengono tuttora appese nel luogo così a lungo identificato come “l’altare laico di piazza Alimonda”.
In quel periodo il Comitato contava già tre anni di vita, una quantità di iniziative di solidarietà in nome di Carlo, una ormai lunga battaglia per la verità sui fatti di Genova, al fianco delle vittime delle violenze e dei manifestanti accusati. In una riunione si è deciso di presentare al Comune un nuovo progetto: un sasso, un blocco di marmo grezzo, con la scritta “Carlo Giuliani, ragazzo”, da sistemare nell’aiola della piazza. La scritta è comprensibile ma perché un sasso? Per diverse ragioni.
La prima. Il 20 luglio 2001 i sassi in piazza Alimonda sono molti: oltre a quelli che tira anche Carlo insieme ad altri per difendere il corteo dall’ennesima carica, e quelli che “restituisce” il dottor Lauro al comando del plotone dei CC, c’è il sasso del dottor Franz, quello che, a detta dei periti, avrebbe “intercettato” il proiettile, deviandolo. C’è il sasso che spacca la fronte di Carlo già colpito, già a terra, già arrotato due volte dalla camionetta, già circondato dai carabinieri. C’è il sasso per il quale viene accusato un manifestante: “L’hai ucciso tu, ti ho visto…”, declama infatti Lauro davanti alle telecamere. E infine c’è il sasso che il giudice Daloisio mette sopra a tutto firmando un’ordinanza di archiviazione che nega l’accertamento della verità in un’aula di tribunale.
La seconda. Una cooperativa di cavatori di Massa Carrara aveva fatto sapere, già due anni fa, di voler donare a Carlo un blocco di marmo, cioè il più bel “sasso” che perfino un ragazzo come lui, naturalmente poco incline a monumenti, avrebbe apprezzato e accolto con un sorriso.
La terza ragione. Un sasso è per natura “resistente”: resiste alle calamità del tempo come ad altre, di altra origine.

A sostegno della nostra richiesta sono state raccolte quasi cinquemila firme, di cittadini rappresentativi di centinaia di comuni italiani. Fra le adesioni vi sono quelle dei presidenti e dei segretari nazionali delle maggiori organizzazioni sociali e politiche del paese, di presidenti di regioni e province, di sindaci di grandi città, a cominciare da Roma, dove Carlo è nato. E anche di cittadini europei: britannici, francesi, tedeschi, austriaci.

Il nome e la data – Lorenzo Guadagnucci – Carta n°8 24 febbraio – 2 marzo 2005

Veltroni, sì al cippo per Giuliani – La Repubblica, 23 febbraio 2005

La richiesta è stata poi formalmente presentata al sindaco di Genova, accompagnata dal progetto e si è giunti in seguito alla discussione in Consiglio comunale, sostenuta da una mozione e appoggiata da tutti i gruppi dell’Unione.
Contrario ovviamente il centrodestra, la richiesta, attribuita a mera volontà della famiglia, è stata approvata con 23 voti a favore e 20 contrari (lo scarto minimo va attribuito all’assenza di diversi consiglieri della maggioranza di centrosinistra e al fatto che alcuni consiglieri si sono dissociati, votando contro o non partecipando al voto).

Intervento di Massimiliano Morettini in Consiglio Comunale

Mentre l’iter del provvedimento attendeva la definizione della Commissione toponomastica, il prefetto di Genova ha sollevato obiezione, sostenendo che non sono trascorsi dalla morte (che è sempre corretto definire uccisione) di Carlo i dieci anni previsti da una legge degli anni venti per la titolazione di strade e piazze (anche se si contano a decine i casi di inosservanza). Della questione si è occupato anche il Parlamento: in quella sede il ministro degli Interni ha rimandato, secondo consuetudine, la decisione al prefetto. Tutto questo è storia recente e si può trovare, a proposito e a sproposito, sulle pagine dei quotidiani.

Giovanardi: no al cippo per Giuliani – Il Giornale, 04 agosto 2005

Cippo a Carlo – An perché a Quattrocchi no? – Liberazione, 28 luglio 2005

Tursi autorizza il cippo per Carlo Giuliani in Piazza Alimonda – Liberazione, 27 luglio 2005

Riportiamo una lettera che ci è arrivata, destinata al Sindaco di Roma, sulla proposta di intitolare una strada a Fabrizio Quattrocchi. Non vogliamo entrare in polemica su questa vicenda, ma solo ricordare che nel caso di Carlo il Consiglio Comunale di Genova non ha proposto di intitolargli una via, ma ha deciso di autorizzare la famiglia a collocare in Piazza Alimonda un cippo di marmo, e subito il Ministro dell’Interno ed il Prefetto si sono palleggiati la responsabilità di bloccare questa decisione.

Al Sindaco della Città di Roma Onorevole Walter Veltroni

Roma, 19 gennaio 2006

Gentile Sindaco,

abbiamo appreso che Lei ha proposto di intitolare una strada della nostra città a Fabrizio Quattrocchi, morto in circostanze ancora non del tutto chiarite in Iraq. La motivazione che Lei ha addotto parla della grande dignità dimostrata dall’uomo pochi istanti prima di morire. Ci permetta di dire che centinaia di persone, ogni anno, mostrano negli ospedali e nelle case di Roma una enorme dignità di fronte alla morte, e che è piuttosto la vita, e non la morte, di Fabrizio Quattrocchi che suscita in noi alcune perplessità circa l’opportunità di intitolargli una strada. A quel che ne sappiamo, Fabrizio Quattrocchi è andato in Iraq per svolgervi, armato, azioni per conto di chi e contro di chi non è dato ancora sapere con precisione. Anche la Procura di Roma ha aperto un’indagine nei suoi confronti e verso altri cittadini italiani perché potrebbero aver contravvenuto ad una precisa legge della Repubblica Italiana che vieta di svolgere attività militari o paramilitari per uno stato straniero in uno stato con il quale l’Italia non è in guerra. Queste persone vengono chiamate con un termine tecnico “mercenari” e le loro attività sono vietate non solo dall’Italia ma anche dall’ONU e dalla Convenzione di Ginevra. A quanto ne sappiamo, l’indagine della Magistratura italiana non si è ancora conclusa e perciò non è stato fugato il legittimo sospetto che il signor Fabrizio Quattrocchi sia stato un mercenario agli effetti della legge nazionale e delle Convenzioni internazionali. A noi non sembra perciò opportuno, indipendentemente dalla strumentalizzazione della sua morte e contro la quale lui sicuramente non ha potuto ribellarsi, intitolargli una strada. Forse sarebbe più in linea con la vocazione pacifista della nostra città, intitolarne una, o molte, alle vittime innocenti della cosiddetta post-guerra in Iraq, alle effettive o potenziali vittime di chi in quel paese è andato se non altro per arricchirsi. Naturalmente sulla pelle degli iracheni.

Cordiali saluti

Lalla Di Cerbo, Esther Koppel, Francesca Koch, Silva Savigni, Alberto Costantini, Rolf Uesseler, Jacopo Uesseler, Maria Rosaria Pugliese, Caterina Banella, Claudia Wächter, Antonio Roccuzzo, Constanze Reuscher, Caterina Merlino, Valentino Orfeo, Leone Orfeo, Ilia Porzia, Paolo Vicinanza, Antonio Silvestri, Milvia Spadi, Gianfranco Ronga, Ugo Balzametti