Torino 2005

Da gennaio a maggio. In relazione con la dismissione delle aree ex FIAT, la preparazione per le olimpiadi invernali e il treno ad alta velocità, hanno luogo una serie di “grandiosi” lavori che modificano la mappa di Torino. La “pulizia” del centro comporta lo spostamento e la riduzione del mercato dei poveri (il baloon) e soprattutto l’allontanamento forzato, dalle zone eleganti, di extracomunitari e barboni.
L’intensificazione delle retate causa la morte di 3 migranti: privi di permesso di soggiorno, tentavano di fuggire. Due muoiono precipitando da una finestra e da un tetto, un terzo è ucciso da un colpo di arma da fuoco sparato dalla polizia. Nel Centro di Permanenza Temporanea di Corso Brunelleschi sono sempre più frequenti gli atti di autolesionismo.

19 maggio. Dopo l’ennesimo tentativo di suicidio all’interno del Centro di Permanenza Temporanea, i ragazzi dei centri sociali organizzano un presidio. Coprendo il rumore con tamburi e urla a cui partecipano anche i reclusi, riescono ad aprire a mazzate una piccola breccia nel muro di cinta. Quando la polizia la scopre, carica e disperde il presidio. Nel frattempo nel Centro scoppia una rivolta e alcuni migranti riescono a fuggire. Un manifestante viene arrestato.

Fine maggio, inizio giugno. Quasi ogni giorno in Corso Brunelleschi c’è un presidio e nei quartieri di migranti un volantinaggio contro la “pulizia olimpica”. Inizia una serie di attentati contro i centri sociali: vetri sfondati, auto incendiate, aggressioni a chi esce. La notte fra l’11 e il 12 giugno l’episodio più grave: una dozzina di persone, appartenenti a gruppi neofascisti, penetra all’interno del Barocchio e colpisce con mazze e coltelli; il ferito più grave ha il volto tagliato e il diaframma perforato, resterà per giorni tra la vita e la morte.

18 giugno. Corteo di solidarietà con gli aggrediti del Barocchio. Parte da un quartiere di migranti e si dirige verso il centro elegante, la zona di “pulizia olimpica”. Appena arriva è caricato duramente dalla polizia: inseguimenti, manganellate e abbondanti lacrimogeni. Durante la fuga alcuni manifestanti tentano di difendersi lanciando tavolini e sedie di plastica. Nonostante la violenza della carica il corteo non si disperde, si dirige al centro sociale Fenix intorno al quale quasi tutti rimangono raggruppati fino a tarda sera per timore di subire la caccia all’uomo. Quattro i fermati: un disabile, una ragazza con problemi motori e due che si erano attardati per sostenerli; questi ultimi faranno 20 giorni di galera e ora sono con obbligo di firma in attesa di processo. Il giorno seguente, la cronaca locale dei due principali quotidiani torinesi, in perfetta sintonia, usa parole di fuoco contro i manifestanti, li descrive come teppisti, riporta episodi di violenze su cose che nessuno dei partecipanti al corteo ha visto. La campagna di disinformazione continua per settimane con pubblicazione di notizie palesemente false e spesso inverosimili. Il Comune annuncia che risarcirà “i danneggiati” se ne faranno richiesta: due commercianti ne approfittano, uno sosterrà che è stato derubato di una quantità di gelati tripla rispetto a quella che poteva contenere il suo frigo.

20 luglio. La polizia arresta 7 persone, ne cerca altre 3 che diventano latitanti (si costituiranno nelle settimane seguenti), 7 vengono denunciate a piede libero: tutte per aver partecipato al corteo del 18 giugno. A loro si aggiungono 3 ragazzi denunciati per l’episodio del CPT. 10 ragazzi staranno in carcere 20 giorni, poi il tribunale del riesame “concederà” gli arresti domiciliari che dureranno presumibilmente fino al processo. Gli altri hanno misure cautelari meno severe. Per tutti l’accusa è devastazione e saccheggio, se condannati dovranno scontare dagli 8 ai 15 anni. Il Fenix, in quanto ha dato ospitalità, viene sequestrato, sgomberato e murato. I PM sono Laudi e Tatangelo, gli stessi che chiesero gli arresti di Sole, Baleno e Pellissero, scagionati in cassazione, quando Sole e Baleno erano ormai morti suicidi in carcere.

Settembre e ottobre. Altri 5 centri sociali sgomberati: irruzione nel cuore della notte, denunce per occupazione furto e danneggiamento, manganellate e fermi anche per chi si avvicina durante le operazioni di sgombero. Ora, centri sociali che hanno ospitato per decenni conferenze, dibattiti, assemblee, spettacoli teatrali, cene sociali, concerti, che sono stati luogo di ospitalità per chi temporaneamente era senza casa, sono vuoti, con porte e finestre murate.

17 gennaio 2006 – Torino, palazzo di giustizia Alle 10.30 esce la sentenza dell’udienza preliminare con rito abbreviato:
per la manifestazione davanti al CPT del 19 maggio 2005, 3 persone sono condanate a 6 mesi per resistenza, 4 sono condannate a 10 mesi per oltraggio e resistenza e una persona ad 1 anno a due mesi per gli stessi reati ma recidivo.
Per il corteo antifascista del 18 giugno, tutti e 10 sono rinviati a giudizio per devastazione e saccheggio (pena prevista dagli 8 ai 15 anni), restando agli arresti domiciliari.
Il processo si terrà il 27 giugno.

Da gennaio a maggio 2006. Le misure cautelari sono state alleggerite in attesa del processo per i dieci, che si svolgerà a partire dal 27 giugno prossimo. Nel frattempo, è iniziato anche il processo ad un manifestante NOTAV accusato senza prove di lesioni ad un poliziotto nel corso di un corteo contro la repressione delle lotte in Val di Susa; sono in arrivo decine di denunce per chi ha partecipato all’occupazione di Venaus, con la stessa imputazione di devastazione e saccheggio. Gli spazi di libertà di manifestazione del pensiero si fanno sempre più stretti per tutti: si calcola che oltre 9000 persone siano inquisite, in Italia, per reati sociali.

2 ottobre 2006 Torino, palazzo di giustizia Si è svolta la prima udienza del processo agli antifascisti e antirazzisti torinesi accusati di devastazione e saccheggio per il corteo del 18 giugno 2005. L’accusa sosterrà l’ipotesi che il corteo del 18 giugno 2005 fosse stato indetto per attaccare le forze dell’ordine, mentre per la difesa l’iniziativa mirava a informare la cittadinanza del preoccupante crescendo di aggressioni fasciste ai danni di giovani occupanti di case, anarchici o comunisti, culminato nell’accoltellamento di due ragazzi del Barocchio. Ai dieci imputati per il corteo vanno aggiunti due ragazzi accusati per un presidio svoltosi davanti al muro del CPT di corso Brunelleschi il 19 maggio precedente, allo scopo di sensibilizzare i cittadini sulla presenza di un vero e proprio lager tra le loro case. Acquisiti gli elementi di prova, le richieste delle parti e le liste dei rispettivi testimoni, la Corte ha fissato la prossima udienza per lunedì 6 novembre per l’inizio della fase propriamente dibattimentale.

Il 6 novembre 2006, alla presenza di un folto pubblico, si è svolta, nell’aula 3 del Palazzo di Giustizia di Torino, la seconda udienza del processo contro gli antifascisti e antirazzisti torinesi accusati di devastazione e saccheggio.
Questa udienza è stata interamente dedicata alla ricostruzione, da parte di funzionari e agenti della Polizia di Stato, dei fatti accaduti durante il presidio del 19 maggio 2005 davanti al CPT di Corso Brunelleschi, a Torino. Oltre alle azioni dimostrative come l’esposizione di striscioni di solidarietà nei confronti degli “ospiti” internati, accensione di fumogeni e martellamento del muro di cinta, i poliziotti hanno testimoniato che si sono verificati lanci di pietre contro di loro. Non si è assolutamente parlato del clima che si era determinato in città in seguito a diversi episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine, culminati con la morte di almeno tre immigrati clandestini a partire da gennaio 2005. Da ciò le accuse gravissime, che potrebbero portare a condanne molto pesanti (da 8 a 15 anni di reclusione) nei confronti di coloro che sono stati identificati.
Finora la difesa non ha controinterrogato i testi presentati dal PM Tatangelo. La prossima udienza è stata fissata per il 30 gennaio 2007 alle ore 10.00, sempre nella medesima aula.

10 dicembre 2007, Si è chiuso oggi il processo di 1° grado a danno di 12 antifascisti/antirazzisti torinesi accusati di “devastazione e saccheggio” per la partecipazione al corteo del 18 giugno (che fece seguito all’accoltellamento di 2 occupanti del Barocchio) e ad un presidio di solidarietà con i migranti rinchiusi nel CPT di corso Brunelleschi qualche settimana prima.
Nonostante le pene inflitte ai compagni e agli imputati siano comunque alte (da 8 a 20 mesi) questa sentenza è comunque una sconfitta per il Pm Tatangelo e tutto l’impianto accusatorio messo in piedi in più di 2 anni di iter processuale dalla Procura della Repubblica di Torino.
Un impianto tutto giocato sull’uso strumentale di un reato (quello di “devastazione e saccheggio”) come misura cautelare e politica contro i protagonisti dell’antagonismo sociale nella nostra città. Un uso già sperimentato per Genova 2001 e Milano 11 marzo. (Infoaut)

In un tragico giorno per Torino (7 operai sono arsi vivi in fonderia, 4 morti e tre in agonia) viene emessa la sentenza. Saccheggio e devastazione cade, restano le altre imputazioni: resistenza, travisamento, danneggiamento. Tutti condannati. Le pene sono comprese fra gli 8 mesi e un anno e 8 mesi.
Le testimonianze dell’accusa sono state contraddittorie, c’è stato chi ha parlato di scontro, chi di una carica della polizia, chi ha visto un imputato in un luogo, mentre nel filmato era in un altro, chi ha visto un imputato con un bastone, mentre, sempre nel filmato, aveva una bandiera con un’asta di plastica. I negozianti non sanno se la vetrina è stata infranta da un manifestante o dallo sparo di un lacrimogeno, sono però sicuri che i lacrimogeni sono stati sparati non solo dentro i portici, ma in un caso, anche dentro un bar. Tranne la polizia, tutti testimoniano un clima tranquillo sino alla carica (o scontro). La copertura dei volti è descritta come parziale e temporanea, non adatta ad un vero travisamento, tant’è che i cosiddetti travisati sono stati tutti riconosciuti. L’entità dei danni, pur con tutta la “buona volontà” della procura non è compatibile con “saccheggio e devastazione”.
Caduta la responsabilità collettiva e non dimostrabili con certezza le responsabilità individuali, ci si aspetterebbe l’assoluzione. Non è così.
Un imputato dice: E’ finita. Non voglio più vedere un’aula di tribunale. Non voglio più andare in galera. Alla giustizia non credo, perché dovrei ancora lottare per averla?
Ingiustizia è stata fatta, ma i danni sono contenuti.
Questi ragazzi han fatto la galera. Là dove si lavora, sotto ricatto di licenziamento, per 16 ore di fila, con gli estintori scarichi, con le lance antincendio bucate, con la linea diretta ai vigili del fuoco disattivata, c’è da scommetterci, nessun padrone andrà in galera. Ma la galera, può essere giustizia? (Daniela e Roberto – Torino)